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Donne che amano chi non le ama


Giulia Scandolara Counseling online, relazione d'aiuto a breve termine

C’è una verità scomoda che molte donne faticano a riconoscere: sono state educate ad amare chi si sottrae. Hanno imparato a desiderare chi non si concede. Hanno iniziato a chiamare amore ciò che, in realtà, è solo algida distanza travestita da virilità.


Il peso invisibile del patriarcato nelle scelte affettive delle donne

In un sistema patriarcale che plasma identità e relazioni sin dalle fondamenta, il modo in cui le donne si avvicinano all’amore non è mai del tutto libero, né del tutto personale. È il frutto di una “pedagogia emotiva silenziosa”, interiorizzata e profondamente strutturata.


La donna, come diceva Simone de Beauvoir, è “l’altro” dell’uomo, un suo complemento. E, ancora oggi, raramente si auto percepisce come soggetto, come essere a sé stante.

 

L’amore che dovevi meritarti…

Tante donne, consapevolmente o meno, hanno vissuto nell’illusione di poter conquistare l’amore maschile attraverso la dedizione, il sacrificio, la pazienza e persino attraverso la sopportazione del dolore o l’umiliazione.


Non sto parlando di una patologia individuale né di carattere “debole”. Questa forma mentis è il risultato sistemico di una cultura in cui la femminilità è stata associata alle mansioni di cura.


Il patriarcato ha invece collegato l’identità maschile all’indipendenza emotiva, alla ritrazione, alla negazione del bisogno, e alla gestione del potere.


Le nostre relazioni sono figlie di questa polarizzazione

Da una parte, abbiamo donne suddite, o che, seppur libere, non si comportano davvero come tali. Dall’altra parte, abbiamo uomini che sono stati indotti a credere di essere distanti e desiderosi di potere per natura.


La virilità come sottrazione emotiva

Nel linguaggio sociale in cui siamo immersi, la mascolinità “vera” — quella ritenuta desiderabile — è costruita sull'idea di negazione.


L’uomo virile è colui che si ritrae, che domina il proprio desiderio, che non si lascia andare. In questa costruzione culturale, l’uomo che si mostra affettivamente disponibile, vulnerabile, aperto all’amore, corre il rischio di perdere la sua legittimazione simbolica come “uomo vero” (vale anche oltre la relazione binaria uomo-donna, dunque anche nelle relazioni LGBTQ+).

 

L’idea patriarcale dell’amore

Accade così che, molte donne — cresciute in questo stesso impianto culturale — finiscano per desiderare esattamente quell’amore che si nega, il “famoso” uomo evitante.


Queste donne proiettano significato, valore e passione su figure che le rifiutano o le ignorano, perché associano inconsciamente quella distanza a un “amore superiore”. Non a caso, una delle dinamiche più tossiche e ricorrenti è l’innamoramento per uomini emotivamente indisponibili.


Appunto: non è un caso. È piuttosto una forma di imprinting affettivo, sostenuto da secoli di rappresentazioni culturali: dai romanzi ottocenteschi alle narrazioni contemporanee, l’amore femminile è spesso un amore che attende, che spera, che si piega — mai un amore che sceglie in libertà.


Giulia Scandolara Counseling online, relazione d'aiuto

Il dolore come prova d’amore

Un’altra stortura frequente è quella che ci fa credere che sopportare significhi amare di più. Che la nostra dedizione sia proporzionale alla nostra capacità di soffrire in silenzio.


È così che molte persone si trovano invischiate in relazioni disfunzionali, tollerando l’invisibilità, la mancanza di cura, talvolta anche la manipolazione o il disprezzo, pur di non rinunciare alla speranza che quell’amore prima o poi le ricompensi.


Ma cosa ci tiene ancorate a queste relazioni?

Non è solo una questione affettiva: è una questione identitaria. L’aver investito così tanto in quel legame — tempo, energia, sogni, risorse — rende impensabile lasciarlo andare. Spesso, chiudere con un amore che non ci corrisponde non sembra solo la fine di una relazione, ma una perdita di senso personale, quasi un fallimento esistenziale.


In realtà, si tratta della fine di un’illusione: l’illusione che l’amore si guadagni attraverso la sofferenza, che la distanza sia passione, che la noncuranza sia desiderio.


Una questione sistemica, non personale

È fondamentale ribadirlo: questa dinamica non è il frutto di “scelte personali sbagliate”, né un difetto caratteriale. È il risultato di una socializzazione affettiva profondamente distorta, che riguarda moltissime donne, anche quelle forti, autonome, consapevoli.


Siamo di fronte a una questione sistemica, che riguarda le rappresentazioni culturali dell’amore e i ruoli di genere. Il sistema patriarcale ha insegnato agli uomini a non sentire e alle donne a sentire troppo. Ha premiato l’autosufficienza emotiva maschile e ha relegato la sensibilità femminile all’eccesso, alla debolezza, all’instabilità.


Per questo, non basta “decidere” di non cascarci più. Serve un processo profondo di rieducazione affettiva. Serve disimparare per poter scegliere davvero.


Come si esce da questo schema


  1. Serve riconoscere la matrice culturale in atto da secoli: il primo passo è rendersi conto che ciò che ci attrae non è sempre sano, e che molte delle nostre idealizzazioni affettive sono il riflesso di ciò che ci è stato insegnato ad ammirare, non di ciò che ci fa davvero bene. È un fatto sociale, e non personale.


  2. È necessario fare spazio al desiderio consapevole: dobbiamo imparare a distinguere il bisogno dalla scelta. Il bisogno, come il magnetismo, cerca di colmare un vuoto. La scelta nasce da un desiderio libero. A tal proposito è essenziale esplorare la propria storia affettiva, i propri modelli interiorizzati e le proprie paure, ma cercando sempre di ricollocarli al contesto sociale.


  3. Valutare un percorso di Counseling: la relazione d’aiuto può essere una guida fondamentale per ricostruire il proprio centro affettivo. Anche strumenti simbolici come i tarocchi — se usati in modo serio e consapevole — possono offrire chiavi di lettura preziose, illuminando nodi inconsci, copioni ripetuti, illusioni da sciogliere.


  4. Restituire all’amore la sua natura libera: occorre imparare che l’amore non è un premio, né una conquista. È uno spazio condiviso che esiste solo quando entrambe le parti sono disposte a scendere in campo, con volontà, autenticità e presenza. Come scriveva Fromm, “l’amore è un atto di volontà”. Non si subisce, si sceglie.


Giulia Scandolara Counseling online, relazione d'aiuto

Amare richiede una liberazione individuale e collettiva

È tempo di liberare l’amore dalle sue catene simboliche. Di smettere di credere che amare significhi sacrificarsi, o rincorrere chi non c’è.


È tempo di riconoscere che ciò che spesso chiamiamo passione non è altro che fame d’amore, carenza affettiva, bisogno di riconoscimento.


È tempo di imparare a scegliere chi ci sceglie, senza doverci meritare nulla. Perché l’amore non si conquista. Si costruisce. In due.


Giulia Scandolara - Gestalt Counselor

 
 
 

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