La recessione dei contatti forti
- Giulia Scandolara

- 16 ott
- Tempo di lettura: 4 min

Perché abbiamo meno amicizie profonde e cosa possiamo fare per invertire la rotta?
C’è un fenomeno silenzioso, ma ormai evidente, che sta ridisegnando la nostra vita sociale: la drastica riduzione dei legami forti, delle amicizie intime, e delle relazioni profonde.
Non è un fenomeno passeggero
Non si tratta di un semplice calo temporaneo o di un effetto passeggero della pandemia (per chi ci avesse pensato).
La recessione dei contatti forti è un cambiamento sociale strutturale, osservato in diversi Paesi e confermato purtroppo anche dai numeri.
Secondo un’indagine riportata da Orizzonte Scuola, la percentuale di persone che non socializzano è passata dal 14,1% nel 2001 al 21% nel 2023.Il CNR rileva che è in aumento anche il numero di adolescenti che si comportano come “lupi solitari”.
Stiamo mettendo in discussione lo stare insieme
Questi dati raccontano più di una mera statistica. Ci parlano infatti di un’umanità che sta rivedendo uno dei suoi principi fondativi, quello dello stare insieme.
La diminuzione della socialità non è più solo una fase: è diventata una scelta – consapevole o meno – che ha conseguenze profonde sul nostro benessere emotivo e collettivo.
Le nuove cause della solitudine
Molti imputano questa situazione alla pandemia, che certamente ha congelato e indebolito molti rapporti. Ma sarebbe riduttivo fermarsi qui.
Dietro a questa recessione dei contatti forti ci sono forze più profonde, e di carattere collettivo, che vanno conosciute:
Individualismo moderno: i legami sono diventati più aperti, meno vincolanti. La flessibilità ha sostituito la responsabilità relazionale
Mobilità e frammentazione: lavori che cambiano, città diverse, vite non sovrapponibili rendono più difficile costruire rapporti duraturi
Sostituzione del confronto umano: l’accesso immediato alle informazioni tramite Internet appaga il bisogno di capire, ma riduce l’abitudine a confrontarsi davvero, faccia a faccia, con l’altro
Pressione economica: uscire, viaggiare, partecipare a eventi è diventato più costoso, trasformando la socialità in un lusso
In questo quadro, non sorprende notare che il “sapere nozionistico” abbia spesso preso il posto della conversazione reale: facciamo ricerche su Google invece di chiedere “come stai davvero?” a chi ci è vicino.
Il vizio normalizzato dello sfogo tossico
C’è però un aspetto di cui si parla poco, ma che osservo spesso anche in consulenza: lo sfogo compulsivo, o trauma dumping (sfogo tossico, scarico dei propri traumi).
Sempre più persone confondono la relazione con un cestino dei rifiuti emotivi, riversando ansie, lamentele e preoccupazioni su chi li ascolta, spesso senza filtri e senza chiedere consenso. Credo che sia anche per questo, che le relazioni sono cambiate.
Nessuno vuole essere scambiato per un “cestino dei rifiuti”, e usato dall’altro come valvola di sfogo. Chi ha già subito il peso di questo sfogo tossico, poi, si avvicina agli altri con molta più diffidenza, proprio perché teme la reiterazzione dello sfogo.
Lo sfogo tossico è disarmante
Quante volte ci troviamo ad ascoltare sfoghi interminabili, sentendoci prosciugati, disarmati, senza spazio per un vero dialogo?
Uccide le relazioni, fa allontanare
Quando lo scambio diventa unidirezionale, chi ascolta fugge, e il terreno comune delle relazioni si sgretola.Il risultato è paradossale: nel tentativo di “scaricare” i nostri pesi, finiamo per allontanare proprio quelle persone di cui avremmo bisogno.
Perché l’incontro dal vivo è insostituibile
Dietro uno schermo possiamo informarci, ma non possiamo sentire davvero l’altro.Un incontro reale attiva i cinque sensi: tono di voce, postura, gesti, profumi, tatto.
Questi dettagli, apparentemente secondari, sono ciò che ci aiuta a collocare l’altro nella nostra vita, a creare appartenenza, a costruire fiducia.
La socialità non è un passatempo: è un nutrimento psicologico che alimenta la nostra identità.Privarcene significa rinunciare a una parte fondamentale di ciò che ci rende umani.
Un invito alla riflessione personale
Ti invito a fermarti un momento per rispondere interiormente a queste domande:
Cosa ti blocca nel socializzare? Tempo, denaro, paura, vergogna?
Quando è stata l’ultima volta che ti sei aperto/a con qualcuno senza filtri?
Quali risposte cerchi nello smartphone che potresti trovare in un incontro reale?
Quali esperienze ti hanno generato sfiducia verso l’altro?
Queste domande non hanno risposte immediate, ma aprono varchi preziosi per capire dove siamo e cosa desideriamo davvero.
Proteggere lo spazio della relazione
Le relazioni non sono cestini dei rifiuti: sono luoghi sacri, spazi da custodire e coltivare.
Proteggere questo spazio significa ascoltarsi, curare la propria interiorità, e arrivare all’altro con la capacità di dare, non solo di chiedere. Significa anche riconoscere quando serve un aiuto professionale per interrompere dinamiche che ci isolano.
Il Counseling come spazio sicuro
Se senti che la tua vita relazionale si sta impoverendo, o che la solitudine pesa più del desiderio di aprirti, un percorso di Counseling può offrirti un luogo protetto dove esplorare questi vissuti senza giudizio.
Qui puoi imparare a distinguere bisogni reali da paure apprese, a comunicare in modo autentico, a ritrovare fiducia nell’incontro. Prenderti cura delle tue relazioni significa, in ultima analisi, prenderti cura di te stesso o te stessa
Una riflessione necessaria
La recessione dei contatti forti non è un destino inevitabile: è un segnale che ci invita a rinnovare il modo in cui ci incontriamo.
Il primo passo può essere semplice e rivoluzionario: concederti lo spazio per capire chi sei, cosa desideri e come vuoi stare in relazione. Un incontro vero – con te stesso e con l’altro – è il miglior antidoto a questa epoca di solitudine rumorosa.
Giulia Scandolara - Gestalt Counselor



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